Un libro, due fogli.
Perché non scrivi un libro, due libri, una quadrilogia, un dodecaedro, una cosa a piacere?
È successo che, molto tempo fa, si è inaugurata una mostra in una galleria di Palermo. Se fosse bella o meno non si può dire, perché la mostra era la mia e questo testo pure. Quello che si può dire è che, tra i diversi cliché simpatici che si consumano durante eventi di questo tipo, c’è stato un episodio che si ripropone spesso, e al quale non so mai bene come reagire. Qualcuno arriva e mi fa i complimenti per le foto, guardandomi con gli occhi fermi, pronti ad esplodere un gigantesco però.
« Però la scrittura, ragazzo! Perché non scrivi più spesso? Datti alla scrittura. Perché non scrivi un libro, due libri, una quadrilogia, un dodecaedro, una cosa a piacere? »
E tutto questo è certamente una cosa bella. Ma non riesco a non pensare che mi venga meglio - o che viene più facile apprezzare - quello che faccio per diletto rispetto a quello che faccio per professione. Tipo Fabio Volo, che in effetti di professione non fa niente e quindi fa sempre meglio tutto il resto. Sento sempre che qualcuno sta sbagliando qualcosa in questa storia, e non ho ancora capito chi, né cosa. Comunque alla fine io dico grazie, che ci sto pensando a scrivere un libro, anche se non è vero niente. La verità è che a me piacerebbe solo fare lo scrittore, mica scrivere. Un po’ come quando da ragazzo suonavo perchè volevo fare il musicista, mica volevo fare musica.
Comunque adesso ho appena deciso che lo scrivo quel libro. Scrivo un romanzo di avventura. Anzi no, un romanzo d’amore, che mi viene meglio e poi vende sempre di più, e magari ci fanno pure un film. Scrittore e sceneggiatore. Una storia d’amore dove il protagonista è una cipolla. No no, meglio: il protagonista è un foglio di carta che si innamora di un altro foglio di carta a cui però non dice niente per quasi tutto il romanzo. Non perché sia timido, ma perché i fogli bianchi non sanno parlare, non hanno parole, e perciò pure lui si sta zitto. Un bestseller.
L’altro foglio di carta, a cui devo trovare il modo di dare le caratteristiche del personaggio femminile - poi ci penso - ha un sacco di pieghe lungo il corpo e se ne sta in cima ad una pila di carta da riuso che c’è a lato di una scrivania. È ferita da queste pieghe dritte e lunghe, attraversata da verticali e diagonali che non arrivano più a nessuna punta: una volta deve aver provato a prendere una forma, ma qualcosa è andato storto. Ok, ho già perso il controllo di questa storia che finirà da sola in un libro per ragazzine, peccato.
Comunque, il foglio di carta bianco protagonista è tutto liscio e innamorato, e sente che le vuole dire proprio qualcosa di bello, però non ci riesce: è vuoto, non ha parole da nessuna parte, e non ha storie da raccontare. La guarda e basta. E dall’altra parte il foglio di carta femmina vorrebbe non dire nulla - perché lei sì che è timida e traumatizzata - ma non può nascondersi. Le pieghe raccontano delle sue avventure da origami, del suo essere diventata per un po’ qualcosa di più di quello che credeva di essere, e poi del suo aver fallito una piega diagonale ed essere tornata foglio, in una forma piatta che lei ormai vede immobile, e quindi vana. E così il tempo passa e i due fogli stanno lì a guardarsi, da una parte all’altra, ognuno nel suo silenzio, a riconoscersi e a non fare altro.
E a questo punto del libro c’è tutta una riflessione lunghissima su quanto per un foglio bianco le cose superficiali siano al tempo stesse quelle più vere e profonde, perché il dentro e il fuori sono così vicini che finiscono per essere praticamente la stessa cosa. Se sei un foglio bianco e qualcuno ti scrive una parola sopra, in realtà te la sta anche scrivendo dentro. E questo naturalmente vale anche per le pieghe, che non sono solo cicatrici sulla pelle, ma lesioni profonde che sembra non si raddrizzino mai.
E mentre c’è tutto questo panegirico arriva un tipo, un uomo, che prende il foglio liscio innamorato e ci scrive con una penna blu “Niente da fare, si è otturato di nuovo il cesso e fa paura come sempre. Usa l’altro bagno!” e lo appoggia di nuovo sulla scrivania mentre cerca il nastro adesivo per attaccarlo sulle mattonelle.
Nonostante il romanticismo venga violentemente seppellito da questo episodio, il foglio bianco è contentissimo, anche perché non è più bianco. Adesso finalmente ha una storia, e delle parole che può prendere e scegliere, tagliandole e cucendole per dire milioni di cose. Beh, forse milioni proprio no, però gli prende comunque benissimo. Si mette di impegno e le prova tutte: le vuole dire che i fogli di carta piegati sono fortunati, perché inclini a diventare supereroi. Si possono ripiegare di nuovo, e le stesse pieghe che non hanno funzionato per un origami possono funzionare per qualcos’altro. E magari un giorno si ritrova ad essere chessò, un aeroplano - che poi è chiaramente il sogno di tutti i fogli di carta - e a quel punto altro che immobilismo e vacuità.
Però è difficile da dire. Se il nostro eroe mezzo muto fosse stato usato per appunti di poesia, o per una fotocopia di una pagina di un libro ci sarebbe riuscito subito, e invece gli è toccato il linguaggio stretto di una comunicazione di servizio. In ogni caso ad un certo punto sorride, le si avvicina affannato, e con grande orgoglio le dice tutto quello che riesce: “Niente paura, si è sempre altro. Si è sempre di nuovo.”
E poi niente, mi sa che finisce così.
Questo testo è stato estratto in qualche modo da Storie Note, un libro del 2018. Altri tempi.