Dicono che diventare genitore è un pò come diventare supereroe, si va per fasi.
All’inizio tutti hanno paura, e questo perchè a spaventare è una cosa grossa, che si porta dietro tutte le altre: il tempo.
In questo momento sto lavorando troppo, oppure sto lavorando troppo poco; mi prendo qualche anno, voglio costruirmi una carriera prima di iniziare a programmare un figlio; voglio una casa, un contratto; devo sentire che lo sto facendo con la persona giusta; voglio più stabilità. O, a giorni alterni: sono ancora giovane, non voglio legarmi a nessuno; voglio viaggiare ancora, meravigliarmi, essere libero; non voglio dover pianificare troppo; non voglio tutta questa stabilità.
E tutto questo fino a che non arriva il momento.
Quando decidi di avere un figlio è perché in qualche modo hai capito che il problema del tempo si risolve, non ti mette più ansia, non è più l’ostacolo, e già ti inizi un po’ ad immaginare col mantello e le calzamaglie.
Di base la cosa può andare in due modi: il primo è che il tempo te lo compri. Questo metodo si applica però solo ai multimilionari (quelli normalmente ricchi vivono in questo caso gli stessi turbamenti psicologici di tutti gli altri, grossomodo). Insomma se sei Bruce Wayne e vuoi generare un erede ti compri una babysitter, due tate, tre nonne, il maggiordomo già ce l’hai, ti compri le vacanze, ti compri un ospedale e un istituto scolastico, ti compri un mondo migliore e direi che il problema non te lo fai, come del resto non te lo fai di solito. Se puoi mettere in pratica il primo metodo diventi subito Batman.
Se invece non sei Bruce Wayne, e facciamo il caso che c’hai trent’anni e che stai in italia — vivendo perciò con grande ansia praticamente qualunque tipo di decisione — la paura dell’avere un figlio la risolvi attraverso il segreto che ha reso la specie umana così longeva, fino a farle brillantemente credere di poter dominare l’universo: la totale inconsapevolezza di quello che si sta facendo.
Questo tipo di atteggiamento ha prodotto, tra l’altro, una serie di supereroi di grande successo, tipo Spiderman, o Flash: ragazzi più o meno normali fino ad un certo punto della propria vita, quando per incoscienza o ambizione si sono ritrovati con un nuovo superpotere di tre chili e mezzo che cresceva ogni giorno di più. Questo secondo approccio generalmente funziona così: ti guardi negli occhi con la tua ragazza e decidete che potete non avere paura. In fondo tutti i problemi che ci saranno li risolverete, o magari semplicemente li eviterete, sapendo che il grosso delle difficoltà dipendono delle persone, non dal mondo che ci circonda. Amore mio, saremo in grado di viaggiare e lavorare, che tanto mica lavoriamo così tanto, di fare tutto in maniera diversa, perché chiaramente ci saranno modi diversi, però sarà bello, e già mi immagino a fare in tre quello che oggi facciamo in due. Sì, è questo il punto, è qui che ti riconosci e ti abbracci: fare in tre quello che oggi si fa in due. Grandissima cazzata.
Tre minuti dopo la nascita di tuo figlio ti rendi conto che ti eri illuso. Non c’è niente che potrete fare in tre come quando eravate in due, soprattutto essere in due. In quel momento, al rallentatore, ti vengono in mente le parole che lo zio di Peter Parker gli dice epicamente quando diventa Spiderman: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”.
Anche tu, come tutto il genere umano che cerca di dominare l’universo, ti sei preso per il culo da solo. Capisci che le paure che si hanno a voler fare un figlio sono tutte fondate, e soltanto un illuso può ignorarle. Diventare genitori è una roba irragionevole: hai una vita che finalmente funziona, torna tutto, e tu decidi di comprometterla ignorando tra l’altro le esperienze distruttive degli altri genitori amici tuoi. Non ha alcun senso, esattamente come non ha alcun senso che Superman e compagni decidano di salvare il mondo invece di fare la bella vita. Che succede alle persone? Perchè cambiano e si rincoglioniscono? La domanda è la stessa per tutti, supereroi e genitori: chi diavolo ve lo fa fare?
La risposta è che, fortunatamente, un evento del genere è causato e supportato da una consistente dose di droga. Diciamocelo, non è una scelta lucida, non lo è mai stata, eravamo fatti. Per fare un esempio più esteso e renderlo comprensibile anche alle persone normali, senza figli, si tratta della stessa droga di quando ci si innamora, gli effetti sono paragonabili: prendiamo decisioni assolutamente irragionevoli legandoci a qualcuno in un rapporto che condiziona mille cose. Il nostro lavoro, la nostra carriera, il modo in cui frequentiamo il mondo, la possibilità di fare sesso con chi ci pare, i viaggi che forse mettiamo in discussione, il posto dove abiteremo, la cena di stasera. Eppure lo facciamo vivendo quel legame con forza, e quasi sempre con gioia; nonostante per certi versi stiamo mandando tutto a puttane, nonostante facciamo scelte che il resto del mondo ci dice essere quantomeno avventate, noi le facciamo convinti, drogati, matti. Dopotutto gli innamorati, come tutti gli altri fuori di testa, non cercano alcun significato nella vita, alcun senso. Si dedicano a viverla da vicinissimo, un attimo alla volta, senza avere il tempo, mai, di allontanarsi per cercare una visione d’insieme. La vita degli innamorati, come quella dei matti, non ha alcuna importanza. Sicuramente non si basa sul tempo. Ecco, problema risolto.
Il bello quindi è che, se dopo tre minuti dall’essere diventato padre ti rendi conto che ti eri preso in giro, dopo quattro minuti già non te ne frega più niente. La pozione radioattiva e stupefacente che ti gira nelle vene non ti fa vedere nessuna di tutte queste storie come un problema. I problemi, se esistono, si trasformano soltanto in cose da fare. La vita ha un altro peso e tu pure. Ce l’hai fatta, sei un superuomo. E non sei mai stato così felice di esserti illuso.
A questo punto sembra andare tutto liscio, i superpoteri funzionano e riusciamo ogni giorno a salvare il mondo prima di cena. Ma questa calma dura poco, perchè prima o poi, in ogni film del genere, il protagonista si trova ad affrontare un aspetto fondamentale della sua trasformazione: la doppia identità.
Una crisi di identità ce l’hanno tutti, da Hulk a Ironman, figurati tu: eri partito a voler fare le cose con un figlio al seguito e ti ritrovi ad essere il seguito di tuo figlio; eri convinto di crescere e invece sembra che stai solo diventando vecchio; i superpoteri che hai ottenuto stanno prendendo il sopravvento e fai fatica a controllarli.
Di per sé tutto questo potrebbe non essere un problema, però c’è un punto che ti mette pensiero più degli altri. Se qualcuno ti conoscesse oggi avrebbe di te un’immagine chiarissima: un padre preso dalle attività dei padri, accorto, serio, strampalato a volte, ma maturo. E basta. Una sola identità: Batman senza Bruce Wayne, Spiderman senza Peter Parker, Superman senza Clark Kent.
E dove diavolo è finito il me di prima? Quel tizio così folle, impaziente, contraddittorio? Quello che ha reso possibile tutto questo? Ok che la spensieratezza si perde per sempre, ma quella mia prima identità è determinante, è proprio attraverso quella roba lì che ho deciso di diventare grande e onnipotente. Dopotutto, ed è un punto centrale, tra le persone che mi conoscono oggi ci sono i miei figli, e non posso accettare che mi conoscano solo in questa veste, con questo mantello di supereroe che sa sempre cosa fare. Ho bisogno di fargli capire che sono stato capace anche di cose sceme, che ho corso dei rischi inutili e che, soprattutto, ci sono stati dei giorni nella mia vita in cui non facevo assolutamente niente. Devono sapere che nel loro codice genetico c’è anche questo. Il tempo perso.
Bisogna mantenere la calma, i problemi identitari sono una cosa normale per uno che attraversa dei cambiamenti così veloci. Certo, c’è da stare attenti, perchè alla lunga il “come eravamo prima” rischia di diventare la nostra identità segreta, quella in incognito, che nessuno può conoscere, condannandoci a vivere per sempre soltanto da supereroi. Che va benone, l’onnipotenza è fichissima, però uno poi ci si adagia.
Quell’identità in qualche modo va salvata. Così, quando gli sceneggiatori decidono di mettere in mezzo le paturnie esistenziali dell’eroe, credo faccia bene ricordarsi da dove arrivano le nostre scelte. Per alcuni è il desiderio di diventare eterni, per altri è il voler salvare il mondo dai cattivi. Magari sono scelte insensate, da megalomani, però sono scelte per cui ci siamo presi un rischio, grosso. Ce lo dobbiamo ricordare da dove arriviamo — che era tutto capovolto, che ci credevamo super anche quando non lo eravamo ancora — e scoprire in quel sottosopra che da grandi responsabilità derivano grandi poteri.