L’ha detto, a quanto pare, Giorgia Meloni nel suo intervento di chiusura della campagna elettorale.
Non so esattamente a quale Italia facesse riferimento (non ho seguito davvero, non è questo il punto, me lo immagino) ma mi è sembrato subito che la storia di questa Italia che finisce domenica — che tra l’altro mi pare davvero una frase bellissima, epica, “ventennale” — avesse a che fare con un gigantesco pacco di reso in cui l’elettorato italiano infila il proprio paese. Una storia in cui finalmente riusciamo a smaltire questa Italia con grande facilità, pur non sapendo esattamente chi la smaltisce e come. Comunque si impacchetta tutto, lo si consegna al corriere sotto casa e non ci pensa mai più.
E questo reso lo immagino con dentro tantissima roba, o almeno è quello che mi auguro. Perchè a me serve un po’ di leggerezza in questo momento, mi serve un po’ di spensieratezza, di facilità. E non vedo l’ora che domenica finiscano tante cose a cui non voglio più pensare da anni. Uno ad un certo punto si stanca, meno male che esistono i resi.
Magari domenica finisce pure quell’Italia che fino a questo momento è riuscita a raccogliersi, in modo più o meno convinto, soltanto attorno a qualche referendum, a qualche sentenza, a qualche vittoria o sconfitta sui diritti civili. Circostanze simboliche più che altro, attorno alle quali non si è mai riusciti veramente a fare gruppo, ma al limite soltanto tenerezza. La finiremo di fare tenerezza. Lunedì. E ci mettiamo pure a dieta.
Perchè potrebbe pure essere che ci saranno ancora i Pride, troppo colorati per essere una cosa seria, o i Fridays for Future, troppo giovani per essere una cosa seria, ma non serviranno più a niente (semmai siano serviti a qualcosa) perchè si uscirà in strada a manifestare l’amore o la paura e la strada non ci sarà più. Sarà una manifestazione nel vuoto. Tu stai lì con gli striscioni e per chilometri — a volte per centinaia o migliaia di chilometri — non c’è assolutamente nulla. Un vuoto grande quanto tutto questo paese che, ricordiamocelo, da domenica finisce. E i più volenterosi o fortunati magari si mettono a manifestare e marciano fino a che non trovano qualcosa: le frontiere del paese, i limiti di questo vuoto, una roba che finalmente esiste di nuovo, qualcosa da ascoltare o da affrontare. E questo qualcosa è il mare. Oppure l’estero.
E invitabilmente domenica, quando l’Italia finisce, finisce pure questa sinistra e il mio difficilissimo rapporto con lei. Le sue pretese e la mia disillusione. La mia incapacità a resistere, e la sua incapacità ad esistere. Finisce per sempre, la Meloni se la porta appresso con tutte le radici, non ne resta nulla. E soprattutto non resterà la voglia di vendicarla.
Tanto per essere chiari: proporsi come l’unica alternativa al disastro non è una cosa bella, non ti rende speciale, insomma non è una cosa che io andrei a dire in giro spavaldo: “Sai, mi scelgono tutti per disperazione.”
Soprattutto, domenica, finisce pure questa precarietà esistenziale (quella proprio collegata a come siamo fatti), che di per sé non sarebbe nemmeno una cosa brutta: siamo corpi nello spazio — e sotto il cielo — a cui può capitare ogni giorno qualcosa di male, ma pure di bene. Eppure siamo convinti che questo essere sotto il cielo ci renda sempre, soltanto, possibili vittime degli altri. Altri che, pure se sono vulnerabili come noi, in qualche modo ci minacciano, vogliono danneggiarci, farci del male. Insomma la paura della nostra precarietà, della fragilità con cui siamo fatti, si trasforma in paura della cattiveria altrui. Per qualche ragione il fatto che gli altri potrebbero farci del male (perchè siamo noi vulnerabili) diventa la convinzione che lo faranno (che l’altro è cattivo). E così mi dico, se proprio deve finire tutto, allora speriamo che finisca pure questa storia degli altri, dell’altro. Se proprio non possiamo fare a meno di averne paura, allora che smettano di esistere. Che da domenica esistiamo soltanto tutti quanti, e nessun altro.
Di conseguenza, se ci va bene, domenica finisce pure questo mito per cui pur di non farci succedere mai niente di male, barattiamo ormai da sempre la libertà per la sicurezza. E così finisce pure la sicurezza, che ha a che fare con la paura in molti modi: non vuol dire soltanto più polizia in strada, ma per esempio pure più lavoro. Il lavoro che ormai, da che era una cosa che ci serviva per autodeterminarci, è diventato una cosa che ci serve per difenderci.
E domenica finiscono pure tutte le colpe dei padri, e le loro malattie, il loro aver mollato. Tutto nel pacco. Finiscono insieme a tutto quel futuro che ci avevano messo da parte, che non si poteva toccare, convinti che un giorno ci sarebbe servito e che nel frattempo si è ammuffito, chiuso lì dov’era. Finisce lo stare male per questa cosa e per tutto il resto, perchè continuare a pensare a come avrebbe dovuto essere non serve più.
Domenica finiscono pure i figli che ti salgono sulle spalle e tu li prendi su senza starci a pensare, così come fai con tutto il mondo, con le ambizioni e le illusioni, i diritti e i doveri. Stesse spalle, fino al giorno in cui ti rendi conto che forse si sono iniziati a fare pesanti. E non è una metafora, dico proprio trenta chili, forse trentuno. Soprattutto le ambizioni. Eppure non smetti, non gli dici di no, però ci pensi.
E in ultimo finisce pure l’italia dove le donne non sono mai state a capo di niente. Ci siamo finalmente tolti un pensiero. Prima o poi doveva succedere, grazie fascisti: è un’altra cosa della quale possiamo smettere di discutere.