Sto dentro ad un letto che è in effetti una barella, in un ospedale che in effetti è una clinica privata, dove però a pagare è sempre lo Stato. L’importante è che non pago io, mi sento dire.
- Antonella mi vuoi sposare?
Nessuna risposta, solo qualche bisbiglio, risatine sottili.
- Ma lei lo sa che io glielo chiedo sempre e lei mi dice sempre di no?
- Eh, ma tu mica glielo puoi chiedere così sul letto di ospedale senza nemmeno stare morendo - è una voce di femmina da qualche parte dietro la mia testa - Se stavi morendo ancora ancora, ma di quarant'anni non si muore. Tu la devi portare a Parigi e poi glielo chiedi lì.
- Sì, ma se io la porto a Parigi è troppo scontato, e diventa scontata pure la risposta. Cioè magari si sente obbligata dalle circostanze a dire sì, dopotutto siamo arrivati fino a Parigi. Invece è più sincero se mi dice sì quando sto stendendo i panni, o quando cerco parcheggio.
- E infatti ti ho detto sempre no. - Questa è invece la voce di Antonella, la riconosco, sempre da dietro la mia testa.
Forse si guardano tra loro e io non lo so, e mi deridono e gli risulto tenero, vulnerabile, carino e quindi però soprattutto innocuo, buffo, con zero fascino. Il contrario di Johnny Depp in Chocolat, quando faceva lo zingaro e rappresentava la più grande figaggine che quegli anni abbiano mai visto e che io abbia mai invidiato. Uno zingaro perfettamente pettinato, pure con la treccia ad un certo punto, e il solito filo di capelli che gli scende sulla fronte dei sui trent’anni o forse meno. Che poi quello zingaro è stato uno dei pochi ruoli in cui Johnny Depp non ha fatto neanche un po’ il matto. Cioè in tutti gli altri che mi vengono in mente c’è sempre stato un elemento di follia, o stranezza, o queer, o mistero, o fantasia, o droga.
E più voglio essere come lo zingaro di Chocolat, più mi rendo conto che assomiglio al Johnny Depp di Paura e delirio a Las Vegas. Neanche in quel caso vulnerabile, però come lui sbattuto, drogato fino a non riconoscere che sto mandando video alla gente, a mia suocera, al commercialista, a tutti i contatti recenti di whatsapp, per fargli vedere la gamba fasciata e spiegargli che mi hanno dato il Fentanyl.
E non sto a Detroit, sto in via Ausonia, col Servizio Sanitario Nazionale e la gente che prima di drogarmi mi chiede quanto peso e mi fa aprire tantissimo la bocca per guardare quanto è grande e vuole sapere quanti anni ho. E io rispondo che ho appena fatto quarant’anni, non sto qui per questo forse? E aggiungo, chiarissimo: “Mi raccomando, io non devo capire niente”, e quelli mi rispondono che siamo fortunati noi che ci operiamo di quarant’anni oggi. Una volta mica c’erano tutte queste comodità: la gente faceva i compleanni normali, le feste, prestando sempre attenzione a dimostrare che era ancora ventenne dentro. Qualcuno affittava un locale, l’open bar. Qualcun altro una festa in spiaggia. In qualche caso canne, in qualche altro cocaina. E così si diventava quarantenni, e pure cinquantenni per la verità. E mi raccontano invece che ormai è diverso.
Mi parlano dei benefici del Fentanyl, del suo potere quasi cento volte superiore a quello della morfina e delle sue proprietà antichissime che si conoscono fin dai tempi di Big Pharma. E qualcuno mi suggerisce - ma non ho capito bene chi fosse, era un’altra voce, non era l’anestesista - qualcosa sui benefici filosofici e spirituali connessi a tutto ciò. Perché se il mondo fuori sta collassando, allora il mondo dentro fiorisce, si illumina, si salva. Se non puoi salvare il mondo fuori, salva quello dentro. A pensarci bene potrebbe essere il claim perfetto per Fentanyl, bisogna che mi ricordi di mandare un video di questo momento, in mutande, anche a quelli di Big Pharma. Magari divento ricco e mi trasferisco una volta per tutte lontano da questa città, che per le strade offre quasi solo crack. Così fuori moda, così ancora America anni ottanta.
Certo, si potrebbe dire che l’America anni ottanta è stata l’apice della civiltà umana, il punto più alto del nostro salto, la vertigine massima, che era meglio l’America negli anni ottanta di quella di adesso. Ma io di base non lo so, e per la verità non mi interessa. A parte qualche mese, non c’ho mai abitato in America. Abito altrove, e l’America mi serve sempre solo come metro di paragone con la mia vita, come luogo, soprattutto mentale, a cui tendere. Anzi Lamerica, scritto tutto attaccato, anche perchè è immaginato tutto attaccato. Allo stesso modo in cui tutto il mondo è pensato come un unico capitalismo. E tutte le immagini che riguardano Lamerica sono anche loro tutte attaccate, confuse nella nostra testa e nei nostri desideri. Ecco, soprattutto la capacità di desiderare solo quello, solo Lamerica, e niente altro.
Non so se davvero qualcuno sia mai riuscito davvero a desiderare l’uguaglianza tra le persone, la pace, la redistribuzione delle ricchezze, il socialismo, la sostenibilità delle proprie azioni, allo stesso modo di come, in un qualche giorno, abbiamo evidentemente desiderato un panino, un paio di scarpe, un appartamento, una birra fredda, una posizione di prestigio, un giocattolo, una famiglia, un amante. In quel modo così viscerale, liberatorio. Con quella voglia lì, con quella pancia lì. Non lo so se è mai successo nella storia che cose come i diritti, il rispetto e il socialismo siano mai entrate dentro la sfera dei desideri veri, ma di certo da quando esiste Lamerica - e nelle nostre vite esiste da sempre - il desiderio se l’è appaltato tutto lei. Anche, e soprattutto, il desiderio di essere come tutti.
E questo punto, mentre io parlo da solo di America e capitalismo, c’è qualcuno che parla di Rivoluzione Francese. Forse la rivoluzione non c’entra, ce l’ho messa io, però sicuramente si tratta di Francia. E questa voce non sta parlando con me, ma è comunque molto invadente, mi crea confusione. Sono sempre le voci dietro la mia testa, voci femminili di femmine che non vedo, che parlano di Marsiglia e di Arles, della foce del Rodano, del sud della Francia. E io smetto di chiedermi che sta succedendo e penso che è da lì, da quei luoghi, secondo me, che arrivava lo zingaro Johnny Depp con la sua barca in Chocolat. È sicuramente quella l’origine del personaggio, che risale il fiume e si imbatte nella Francia più fredda e bigotta che a quel punto sembra essere diventata così fredda e così bigotta in secoli e secoli di sacrifici, con l’unico scopo, sembra, di incorniciare e illuminare lui, che arriva finalmente un giorno, e per contrasto è troppo bono.
E quando tornerò a casa mi diranno per giorni: chi te l’ha fatto fare a fare quarant'anni. Guarda che il post-operatorio è brutto. E io risponderò che volevo correre, e con il menisco rotto non si può correre. Correre fa male mi diranno, e io gli darò ragione, dicendo che è come tutti i piaceri della vita. Fanno tutti male: l’alcol, il tabacco, il consumismo, il cibo, la corsa, il Fentanyl. Ma non è mai stata una buona ragione per farne a meno.
E dopo un tempo che mi sembra brevissimo, ma sospetto non lo sia stato affatto, l’effetto del Fentanyl passa e mi restano finalmente i quarant’anni, orizzontali su un letto che è ancora una barella. Mi resta pure una gamba tutta stretta in una fasciatura con cui non posso camminare, e meno male che c’è Antonella. Le avevo detto - ero stato molto chiaro: “Non venire che non mi serve, prendo l’autobus”. Lo so che è stupido, ma io quando so di poter apparire vulnerabile allora forse non voglio apparire proprio.
E invece Antonella ha fatto quello che fa sempre, cioè non darmi mai ascolto, in nessuna circostanza, ed è venuta con me. E meno male, perché quando mi sono alzato da lì ero proprio vulnerato.