Alla mia prima seduta dallo psicologo — quella in cui mi disse che purtroppo non poteva fare niente — fui molto diretto, da subito preciso e rapido:
«Senta, il mio problema è che mia madre mi ha cresciuto ripetendomi questa cosa del senso del dovere. E lo ha fatto benissimo, voglio dire in maniera molto convincente, e in totale buonafede. Non è che mi obbligasse mai a far le cose — non c’era bisogno, quelle si dovevano fare comunque, per la legge universale del dover fare le cose — ma mi faceva vedere i vantaggi di farle subito. Ad esempio “Tu torni a casa, ti fai subito i compiti, sabato pomeriggio dopo pranzo, così la sera e tutta la domenica puoi giocare senza pensieri”. Senza pensieri. Al di là del fatto che questi consigli, o precetti, non è che siano mai stati efficaci, ritrovandomi ogni domenica sera della mia vita a dover recuperare cose, ma sono stati soprattutto dannosi. Quando sono diventato adulto, perché lei lo sa che io sono un adulto? Dottore? Mi segue? Adulto?»
«Adulto, certo. Certo, la seguo.»
«Dicevo, da quando l’altro giorno sono diventato adulto questa roba del prima il dovere e poi il piacere ha fatto sfracelli. Perché le cose da fare, i pensieri da togliersi, le ambizioni da seguire, i compiti a casa, non finivano mai. E in realtà non finiscono mai, è quello il punto. Finché sei un ragazzo più o meno tieni tutto sotto controllo, ma quando inizi a generarli tu i ragazzi, è un manicomio. È tutto un dovere, è tutto un pensiero da togliersi, e ne arrivano sempre di nuovi. E io aspetto sempre il momento in cui ho finito con il dovere, in cui mi posso finalmente fare i cazzi miei. Ma quel momento non è che non arriva, non esiste proprio. E lo sa che ho fatto visto che il momento del piacere non arrivava mai? Eh, lo sa dottore?»
«Cosa ha fatto?»
«Niente. Non ho fatto niente. Non lo so che devo fare. Perciò sto qua.»
«Bene. La sua spiegazione è in effetti molto chiara, davvero. Non escludo che debba lavorare un po’ sui temi del controllo e dell’emotività. Però lei lo sa che io sono un ortopedico?»
«Beh, no, non lo sapevo. Lei è anche un ortopedico?»
«No, sono esclusivamente un ortopedico.»
«Ah. Ma, mi scusi, questo non è lo studio dello psicologo? C’era la targa in strada, vicino al portone, sono sicuro.»
«Quarto piano, uno più su. Forse ha sbagliato in ascensore.»
«Già, probabilmente. Comunque in effetti somatizzo molto, sulle ginocchia in particolare, mi fanno molto male ogni volta che mi innervosisco.»
«Ora vediamo.»
«Grazie.»
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