Dopo una lite notturna
Forse hai fatto una cosa buona, ma comunque ancora non hai salvato il mondo.
Il palazzo sembra tremare sotto tre colpi, tre boati forti. Ci svegliamo e sentiamo le urla di un uomo. Sembrano vicine, forse arrivano dal piano di sotto o da quello di sopra, sono molto ovattate - o forse siamo noi ad essere ancora molto ovattati - ma si capisce chiaramente che il tipo sta urlando fortissimo.
Sono le cinque di mattina e ci affacciamo al balcone: c’è un ragazzo in strada, proprio sul marciapiede sotto di noi e si agita e urla cose incomprensibili contro una ragazza che non riusciamo a vedere. Rovescia bidoni, colpisce saracinesche e portoni. Parla in un palermitano difficilissimo ed enorme, battendosi sul petto, e le uniche parole che capisco sono che tutti si approfittano di lui, che si fa sempre andare bene tutto e che adesso però vuole morire.
Si allontana dentro a questa sua disperazione verso via Cavour, e a quel punto la ragazza, che era proprio sotto di noi a prendersi tutte quelle urla in silenzio, si dirige piano dalla parte opposta. Finalmente la vediamo, è giovanissima - in effetti lo sono entrambi, ma lei è particolarmente minuta, capelli lunghi lisci e pantaloni neri, e una borsa con la catena dorata. Ci dà le spalle e non riesco a vedere molto altro, anche perché sono sempre le cinque di mattina, e a quel punto rientro e mi dirigo verso il letto, chiedendomi soprattutto come ha fatto quel tipo a far tremare il palazzo. Nemmeno mi stendo che sento nuove urla, questa volta femminili. Riapro la porta finestra e sono sempre loro, e lei dice lasciami stare e urla. Credo che sia stato il lasciami stare, oppure un non mi toccare. Uno dei due, urlato con una voce acuta, è stato l’innesco, il segnale che mi ha attivato in testa tutta la storia del femminicidio ogni cinque minuti e gli uomini che urlano sono brutti, e le violenze, e l’amore tossico in città e in provincia, e le ragazze che muoiono con e senza le minigonne e dico ad Anto “Senti, io chiamo la polizia”. E la chiamo, e ne sono contento. Mi sento che sto facendo come si deve, come ci si aspetta che si faccia, almeno se chiedi all’opinione pubblica. Di solito è un continuo lamentarsi dell’indifferenza dei passanti di fronte a scene di questo tipo. Io no. Io mi prendo la mia responsabilità senza pensarci, e dall’alto di un balcone al terzo piano faccio la scelta a rischio zero di telefonare a carico del destinatario ad uno (nella fattispecie un poliziotto) per raccontargli una piccola storia, per condividere ancora una volta la mia esperienza del momento - avrei potuto fare pure una diretta instagram ora che ci penso, ma lì per lì non mi è venuto in mente. Un po’ come Batman attiva e guida un drone col movimento oculare dalla cima di un grattacielo verso i malviventi, io prendo il telefono e faccio il 113. Pronto buongiorno, o buonanotte, sono un eroe, sono su un balcone e ho deciso di risolvere una lite violenta con una telefonata a qualcuno che se ne occupi, voi ve ne occupate? C’è una giovane donna coinvolta, un possibile reato, la moda del momento, io adesso torno dentro che fa freddo.
La mia bolla sarebbe fiera di me. Anzi, a pensarci bene sarebbe probabilmente indifferente, perché per la mia bolla uno che chiama la polizia è una cosa normale, da paese civile. E alle cose normali si è di solito indifferenti. E poi si sa che l'opinione pubblica ormai è un'opinione negativa, che si esprime per contrarietà. Abitando quasi esclusivamente internet e i social, l’opinione pubblica di oggi prende forma e posizione quasi solo contro. Se non può dire: “È successa questa cosa sotto gli occhi di tutti. Nessuno ha detto o fatto niente, com’è potuto accadere?” piuttosto non dice niente.
Quando vedo arrivare la volante stacco il mio turno da supereroe dei balconi e me ne torno a letto, dove non mi riaddormento, pensando che avrei potuto scendere di casa. Avrei dovuto farlo, senza aspettare la polizia. Quello sarebbe stato davvero un modo di intervenire, di salvare la situazione. Solo così avrei potuto davvero prendere parte a quello che stava accadendo, essere protagonista della vita, e non solo osservatore. Ma forse neanche quello sarebbe stato sufficiente a sentire di aver fatto la cosa giusta. Perché il benaltrismo è un concetto che può essere sempre esteso, soprattutto online, e soprattutto da chi sta su un altro balcone.
Tra tutti quelli che hanno assistito al fatto ce ne fosse uno che ha fatto qualcosa. Qualcuno forse si è limitato a chiamare la polizia, ma nessuno è sceso a prendere le difese della ragazza (hai voglia di aspettare la polizia, sappiamo come va a finire). E se magari sei sceso in strada e hai calmato tutti, poi non è che sei rimasto lì a verificare che lui non la ammazzasse appena ti allontanavi. E tra tutti quelli che effettivamente sono rimasti in strada con la coppia, con lei che chissà perché lo ha lasciato e lui che non lo accetterà mai, aspettando che si facesse giorno, tra loro nessuno poi gli ha veramente offerto la colazione e si è informato magari del disagio generale delle vite di queste persone. Il disagio oltre quella lite. E di tutti quelli che lo hanno fatto, nessuno ha provato poi a capire se si trattava di un problema che andava oltre loro due, qualcosa di comune a tutta una fascia sociale, a un quartiere. Se si trattava del disagio di una città, o della povertà educativa di un’isola, o ancora del mancato sviluppo morale di un paese. E pure quelli che poi ci hanno provato a capirlo e in qualche modo si sono presi cura della questione, tra loro nessuno si è spostato fuori dal proprio giardino, a pensare a quello che succede fuori dall’Italia, dove c’è il disagio vero. Perché è facile starsene qua, ma che sta succedendo in Palestina, da decenni? Oppure nel Mediterraneo, in mezzo al mare, da trent’anni? Perché sono più di trent’anni che la gente arriva in mare e ancora nessuno ha provato a storicizzare questo fenomeno. E lo trattiamo sempre soltanto come un’emergenza. Ma non è un’emergenza, sicuramente non lo è per noi, che stiamo sui balconi. E se pure sei tra quelli consapevoli di tutto questo e fai uno sforzo e guardi fuori dall’Italia cercando di capire e di prendere posizioni, e viaggi e salvi vite, in fondo non lo fai mai con vero spirito altruista. Siamo tutti egoisti. Tutti a correre, tutti sempre a tentare di fare bella figura dai balconi.
L’opinione pubblica che sta nella mia testa sembra ragionare un po’ così, sempre incontentabile, e io spesso non so che fare. Nella realtà per fortuna tutto è più semplice, però, tutto si risolve più facilmente: basta dimostrare di prendere una posizione pericolosissima facendo una storia con scritto “fermiamo il genocidio”. Niente è mai abbastanza, tranne quello che posti su Instagram.